Succede tutto in una gelida domenica di metà dicembre. E’ il primo tempo di Benestare- Campese. Risultato sullo zero a zero. All’improvviso Streanga con un eurogol porta in vantaggio la sua squadra. Tutto normale, senonchè il tutto si materializza mentre un avversario è a terra dolorante dopo un scontro piuttosto duro. L’attaccante però non si avvede di quanto successo qualche metro prima, scatenando un po’ di malcontento nella compagine ospite. Meno male che al giorno d’oggi esistono esseri umani dotati di buon senso. E così, dopo aver rimesso palla a centrocampo, Catanzaro indisturbato percorre 50 metri di campo segnando il gol del pareggio con l’undici di casa immobile.
Uno a uno e palla al centro. «E’ stata un’iniziativa decisa dai giocatori stessi in campo, non hanno ricevuto direttive da nessuno». Mister Romeo non può che andare
orgoglioso dei suoi ragazzi, anche se anziché una vittoria, fosse arrivata una disfatta. Il periodo natalizio che incita al buonismo c’entra poco. In inglese si dice fair play. Trattasi di una regola non scritta dettata da un codice d’onore presente nel calcio e in molti altri sport. In una sola parola, tradotta in italiano, lealtà. La Fifa, la federazione internazionale che governa il calcio, da tempo ha istituito un premio, riconoscimento assegnato al singolo che si distingue per condotta corretta in campo. Episodi come quelli
di Benestare probabilmente non li vedremo mai in un Santiago Bernabeu o in un Maracanà. Negli ultimi tempi coloro i quali hanno seguito i principi di lealtà sportiva sono una specie in via d’estinzione. Taluni non la conoscono. Quelli che ne sono a conoscenza la ignorano perché figli di una società in cui dominano i valori compatibili con la competizione e la ricerca del successo a tutti i costi. Ma domenica qualcuno ci ha ricordato che il calcio è soprattutto un gioco.

Ilario Bali da CalabriaOra