Etica, programmazione, qualità e dilettanti. Come far ripartire il gioco più bello d'Italia
Etica, programmazione, qualità e dilettanti. Come far ripartire il gioco più bello d'Italia

Iniziamo subito da una cosa ovvia, lo sport fa bene alla salute.

 

Superata l’ovvietà possiamo fare il secondo passo, capire quanto lo sport possa incidere positivamente nel tessuto socioeconomico di una microsocietà oppure su quello di un Paese intero.

 

Partendo da uno “sport minore”, come il pugilato, scorpriremo come oltre ad una serie di vantaggi legati al fisico dello sportivo, si innescano una serie di meccanismi psicologici che vanno a riverberarsi nella vita extrasportiva degli individui.

 

Se invece si parlasse di calcio?

 

Il calcio è lo sport più praticato in Italia ed anche grazie alla sua semplicità risulta tra i più accessibili. Per questo motivo diventa risorsa fondamentale, anche per il futuro del movimento, l’attenzione al mondo dilettantistico.

 

L’esempio più performante della valenza sugli investimenti nel calcio dilettantistico è agli occhi dei più molto recente ed ha un nome chiaro e definito: Islanda.

 

La nazionale dell’isolotto nord europeo ha fatto impazzire un continente non a caso, poiché, nonostante una crisi che ha morso in maniera pesante il piccolo Stato, il governo ha messo in piedi una serie di misure per garantire la pratica del calcio alla popolazione che troppo si avvicinava ad alcol e sigarette, si è investito sulla formazione dei tecnici per arrivare ad un quarto di finale con una squadra dall’età media inferiore ai 28 anni che affonda le sue radici nel dilettantismo, poiché se è vero che i 23 di mister Lagerback giocano tutti all’estero, non va dimenticato che in Islanda chi gioca a calcio non viene considerato un professionista.

 

Discorsi in qualche modo simili possono applicarsi in Belgio e Germania, Paesi più “abbienti”, che con accademie e centri tecnici federali grazie ad obiettivi precisi, sono diventati produttori di alta qualità calcistica.

 

Qual è la situazione in Italia?

 

Se parliamo di nazionale, dopo il mondiale 2006, poche sono state le soddisfazioni. Cocenti eliminazioni mondiali, due buoni europei, ma con gruppi logori e datati sulla carta d’identità.

Eppure siamo un Paese di grande tradizione per quanto riguarda il calcio dove alla fine 23 atleti per uscire a testa più o meno alta è facile trovarli. Ma in concreto cosa serve per far ripartire il movimento? Oltre alla diffusione più capillare, che è (?) in cantiere a quanto ne sappiamo, di centri di formazione, è opportuno riallacciare le fila di una formazione qualificante del sistema calcio che vada ad innestare negli atleti (specie gli under18) quelli che sono i valori fondanti dello sport, prima ancora della ricerca ossessiva del risultato che va a penalizzare, specie in categorie superiori l’uso dei giovani, bloccati dalla ricerca ossessiva della performance, anziché favoriti con corridoi preferenziali per far acquisire esperienza. Ancora, serve estrema moralità da parte di chi guida il grande treno del calcio, perché ancora oggi troppi sono i casi, dai professionisti ai dilettanti, di persone (tecnici e atleti) che non si vedono corrispondere quanto dovuto per il lavoro, sforzo e passione applicato nell’esercizio della disciplina calcistica.

 

Inoltre per tornare al ruolo socioeconomico dello sport, è opportuno evitare situazioni di dissolvimento di società sportive, specie dilettantistiche, dovute a fattori estranei alle vicende agonistiche, non dimenticando che lo sport, e nello specifico il calcio, sono anche industrie che con il loro potere aggregativo portano l’individuo a “spendere” per praticare oppure assistere allo spettacolo offerto.

 

Quale ruolo dei media?

 

Ovvio che anche il sistema mediatico ha le sue “responsabilità” in un percorso di crescita. A fronte di un interesse incredibile per le grandi competizioni calcistiche legate a coppe e leghe nazionali, poco spazio, ed in rare occasioni, viene concesso al calcio giovanile ed agli altri sport in generale. Questo se da una parte può risultare normale a causa del ritorno economico non sempre lusinghiero, dall’altra potrebbe acuire le spese di “scouting” da parte delle società. Per questo diventa fondamentale il ruolo di realtà come StadioRadio che negli ultimi anni con le varie dirette dei campionati regionali, la grande produzione del Torneo delle Regioni ed il Premio Stadioradio (in programma sabato 9 luglio in quel di Marina di Gioiosa, città privata del calcio) cercano, concretamente di contribuire alla crescita del movimento dilettantistico, base fondamentale per la rinascita di un sistema calcio in evidente difficoltà.