Premesso che ho sempre creduto nelle Istituzioni, posso tranquillamente affermare, con estrema convinzione, che questo ingiusto e mirato provvedimento non mi fa cambiare idea. Nonostante tutto, resto al mio posto e spiegherò il perché.
Ho riflettuto a lungo in questi giorni, in quanto ho cercato di capire perché senza aver fatto nulla di male, mi ritrovo destinatario di un provvedimento inverosimile.
E’ vero: volevo abbandonare la mia carica di presidente con una decisione irrevocabile e per questo ho cercato di valutare se tale decisione fosse giusta, ma soprattutto volevo dare una risposta a tutti coloro, e sono tantissimi, che mi hanno telefonato, o che mi hanno fermato per strada, per dirmi di non mollare, perché ho dato una svolta al calcio rosarnese.
E l’ho fatto con una crescita di civiltà che altri si possono solo sognare.
Mi sono posto il problema se era giusto dimettermi dal punto di vista etico-morale e professionale. E quindi il mio archivio mentale ha cominciato a frullare e ad andare alla ricerca dei miei pensieri naturali, ovvero a vedere quello che la mia persona ha fatto in questi tre anni di presidenza.
Appena nominato alla carica di massimo esponente della società A.S. Rosarno sono andato alla ricerca di nuovi dirigenti. Inoltre mi sono posto quale primo punto quello di riportare la gente allo stadio. Un’impresa, quest’ultima, da molti ritenuta impossibile perché gli sportivi erano mortificati alla luce dei tre titoli di Serie D ceduti. Ricordo partite di Eccellenza disputate davanti a non più di venti spettatori. E diciamolo pure: la nomea di Rosarno non era certamente positiva.
Adesso tutti vogliono venire a Rosarno, ma nell’estate di tre anni addietro, ricordo ancora le parole che mi sussurrò il tecnico Franco Viola: «Siamo io e lei». Ed io gli risposi: «Ricordati che ci metto quaranta anni di storia per la mia città».
Per la squadra del mio paese, tutti sanno che ho rinviato un intervento chirurgico ad alto rischio. Dovevo, però, pensare a salvare il Rosarno e tutto è passato in secondo piano. E salvezza è stata. Una salvezza trasparente, arrivata in diretta tv, quando mi presi la responsabilità di accettare l’anticipo della gara contro la Gelbison Cilento, per consentire che la stessa fosse ripresa dalle telecamere di Raisport Satellite. A due giornate dalla fine, giocando con due giorni di anticipo, davo ai nostri concorrenti per la salvezza il vantaggio di scendere in campo sapendo il nostro risultato. La dirigenza mi disse di agire come meglio credevo ed io ho accettato per l’anticipo, di modo che in tutto il mondo fosse ripresa la partita del Rosarno, dando così la possibilità a tanti emigranti di vedere la squadra del proprio paese natìo.
E i fatti mi hanno dato ragione, poiché tutti hanno potuto notare la limpidezza della nostra vittoria, la nostra lealtà, la nostra sportività.
Non posso lasciare un lavoro che definisco importante anche per la sua valenza sociale. La mia società è sempre stata in prima fila nel manifestare la propria solidarietà. Ricordo, per esempio, quando ci recammo dalle suore, vittime di alcuni atti intimidatori, per mostrare la nostra vicinanza, il nostro affetto e stima. E queste non sono cose fatte così tanto per farle, ma sono atti che vengono dal cuore, perché credo in certi gesti.
Oggi sono orgoglioso perché da tutta Italia mi scrivono per avere il gagliardetto del Rosarno. Nelle alte sfere calcistiche abbiamo guadagnato stima e considerazione per il nostro comportamento. Non a caso ogni anno la Lega Nazionale Dilettanti ci garantisce una diretta televisiva.
Mi sento gratificato dal ritorno allo stadio della gente rosarnese e quando ho visto la tribuna così colma di pubblico, mi sono commosso, perché ho visto ripagato il mio lavoro.
I rosarnesi sanno apprezzare se fai le cose per bene.
Non voglio riconoscimenti: d’altra parte il miglior riconoscimento che possa avere è quello relativo al fatto che di me si parla da 40 anni. E poi mi bastano gli apprezzamenti della gente, di coloro che mi fermano per strada e mi dicono sempre le stesse cose, ossia di essere orgoglioso di quello che sto facendo, visto che ovunque si parla di me e del Rosarno in termini positivi, di civiltà, sportività e correttezza. E questo si verifica sia da parte dei tesserati dell’A.S. Rosarno, sia da parte del pubblico rosarnese, che ha capito come voglio fare calcio.
Purtroppo Rosarno è spesso vittima di pregiudizi: forse fa comodo a tutti parlare di Rosarno in termini negativi o soltanto di criminalità. Ma i fatti dimostrano che in questi anni abbiamo saputo far emergere una bella realtà, qual è l’A.S. Rosarno, stimata e apprezzata da tutti.
Alla luce di ciò, è mio dovere spiegare il perché vado avanti, con la mia solita coerenza e tenacia, nella speranza che il Daspo sia il più grave dei provvedimenti nei miei confronti. Per fermare la mia sportività, infatti, mi devono arrestare! Ma credetemi: è meglio morire in piedi che vivere in ginocchio.
In merito alla gara di Reggio Calabria, da cui è scaturito questo provvedimento, la cosa che mi fa più male, e che tutti sanno, è che c’è stato un servizio d’ordine vergognoso, che ha consentito l’apertura a piacimento di cancelli esterni, l’ingresso nel rettangolo di gioco di non tesserati e l’aggressione ad un nostro calciatore in prossimità dello spogliatoio, da parte di tre estranei. E dov’era la polizia quando tre persone colpivano il nostro capitano? Capitano che si trova costretto, alla luce di quel provvedimento, a dover stravolgere la propria vita e la propria famiglia, dovendo giocare altrove, lasciando così un figlio piccolo a casa. E se dovesse essere assolto, chi lo ripagherà di questa ingiustizia?
Sia chiaro: alla Polizia va la mia stima, perché so che svolge un lavoro difficile in un contesto sociale particolare, ma il mio “rimprovero” va soltanto a coloro che quel giorno erano preposti a garantire il servizio d’ordine.
Non voglio qui fare il sacerdote della giustizia, né del vittimismo, e accetto anche da innocente il provvedimento che si è deciso di prendere nei miei confronti. Quel che chiedo è soltanto che vengano esperite indagini accurate, perché quel giorno sono stati commessi tanti errori e non certo da parte mia.
Mi difenderò, però, nelle sedi opportune. Ci fosse stata una sentenza di un magistrato, mi sarei subito dimesso, ma una relazione di servizio, in questa fase, non può diventare una sentenza.
Sia chiaro: se ho sbagliato, sarò pronto a pagare, ma se così non fosse è giusto che paghi chi con poca professionalità e con tanta superficialità ha messo in moto un meccanismo che ora, solo seguendo il suo corso potrà essere disinnescato.